"I Fratelli Karamazov" di F. Dostoevskji

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La lettura del romanzo forse più importante e significativo di Dostoevskji è una vera impresa, sia perché è un'opera assai voluminosa sia perché la trama è molto complicata anche se ruota attorno ad alcuni personaggi-cardine: il padre
Fedor Pavlovic Karamazov, il padre di famiglia; il figlio maggiore, Dimitrij, che è sposato ma desidera, in concorrenza con il padre Fedor, Grusenska, una prostituta. Ci sono altri tre fratelli: Aleksej è un mistico che segue gli insegnamenti dello starec Zosima e, sorretto dalla fede, vuole mettere in pratica gli insegnamenti del Vangelo; Ivàn invece ama la dialettica e la filosofia; infine il servo Smerdjakov, figlio non riconosciuto da Fedor ed epilettico.
Questi uccide il padre-padrone e poi lascia che la colpa ricada sul fratello maggiore. Alla fine Smerdjakov si toglie la vita impiccandosi, mentre Dimitrij finisce in carcere.
Ivàn, inseguendo un difficile rapporto tra filosofia e realtà, ponendosi continuamente domande "se esiste Dio", "perché c’è il dolore" e "che cosa è la libertà", impazzisce.


Un pensiero di Ivan particolarmente significativo per me è:

«Io so soltanto che il dolore esiste; gli uomini stessi sono colpevoli: era stato dato loro il paradiso, hanno voluto la libertà. Ma se tutti devono soffrire per riconquistare con la sofferenza l’eterna armonia, che c’entrano i bambini?».

Se Dio esiste come può permettere la sofferenza dei bambini? Proprio loro che a
Lui sono più vicini?
Ivàn, in un accorato dialogo con il fratello Aleksej, propone la trama di un suo poemetto in cui appaiono le linee d’una soluzione a quei difficili problemi. Sono le pagine de "Il Grande Inquisitore", le più belle di tutto il romanzo, secondo me. Le consiglio a tutti.

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