"Racconti di montagna" a cura di Davide Longo

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Copertina di "Acqua" di B. SidhwaIn tre giorni, tra un impegno e l'altro, ho divorato il libro edito da Neri Pozza "Acqua", di una scrittrice nata in Pakistan e cresciuta a Lahore, Bapsi Sidhwa. Una storia sconvolgente, legata alla cultura religiosa induista di alcuni decenni fa e ormai, per fortuna, quasi definitivamente dimenticata. Così mi hanno assicurato anche alcuni ragazzi provenienti da quella nazione da me interpellati. In realtà le cose sono cambiate negli ambienti alti; non è così nei villaggi e nelle zone interne, dove il fenomeno delle spose-bambine è ancora molto diffuso, come testimonia il documento di Alessandra Loffredo "Essere donne in India", pubblicato il 12/05/2005.

Siamo negli anni 1930-40: una bambina di nome Chuyia (che significa "Topolino") all'età di 6 anni viene promessa da suo padre bramino come sposa ad un uomo anziano; a 7 anni vengono celebrate le nozze e l'anno successivo rimane vedova.

Inizia così una nuova esperienza ancora più amara per Chuyia: la famiglia del defunto marito, secondo le antiche usanze della casta braminica ma anche con il silenzioso e rassegnato consenso del padre di lei, costringe la fanciulla ad entrare in un ashram, un monastero lungo le rive del Gange dove le vedove sono destinate a vivere in penitenza: niente sari colorati, niente capelli lunghi, niente ornamenti, niente dolci e altri divertimenti; solo l'elemosina chiesta ai passanti permette loro di sfamarsi. Esse, essendo vedove, non sono più considerate, nella cultura braminica, "donne" visto che non possono fare figli e neppure servire il marito; devono, solamente, vivere in penitenza fino alla fine della loro esistenza.

Dopo lo smarrimento iniziale dovuto anche alla rasatura del capo e all’abbandono forzato di ogni parvenza di femminilità, Chuyia rifiuta il suo destino che non comprende e rompe l’equilibrio interno della congregazione di vedove appartenenti a varie generazioni. Si scontra duramente con la flaccida e intrigante Madhumati che dirige la casa delle vedove e altri lucrosi traffici (prostituzione e droga), trova comprensione nell’anziana Bua, diventa amica della giovane, bellissima e sfortunata Kalyani che mantiene l’ashram prostituendosi per volere di Madhumati, e scopre una madre inattesa nella nobile Shakuntala, sempre più tormentata dal dissidio tra la fedeltà alla tradizione hindu e l'adesione al rinnovamento proposto da Gandhi.

Il finale è, ad un tempo triste e aperto alla speranza: Kalyani, dolce e rassegnata vedova-prostituta per volontà di Madhumati, non riusce a coronare il suo sogno d'amore con il prestante e idealista Narayan, mentre per Chuyia si intravvede una via di riscatto grazie ai seguaci di Gandhi, che la accolgono nella propria comunità.

Pralboino, 13 gennaio 2008

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